ROSALIA 400 / “Santa Rosalia ci sprona a combattere la peste dell’onnipotenza”

OMELIA ARCIVESCOVO DI PALERMO MONS. CORRADO LOREFICE NEL FESTINO DEL GIUBILEO ROSALIANO

Nave Diciotti, 13 luglio 2024

«Le parole delle scritture sacre della Bibbia sono la parola che Dio rivolge a noi – qui e oggi – è lui che ci parla quando queste parole vengono proclamate nella santa assemblea: “Parola di Dio”. Dio c’è, Dio è presente, ci vogliono gli occhi del cuore sintonizzati per vederlo, ci vogliono le orecchie del cuore per ascoltarlo; e nelle parole che il Vescovo Corrado vi rivolge a bordo di questa nave non ci sono teorie, il Vescovo annunzia ciò che ogni giorno è l’esperienza diretta della sua vita, un’esperienza illuminata dalla parola di Dio, una parola che rende veri tutti gli impegni che ogni giorno bisogna portare avanti, una parola che rende vera ogni relazione. Se ognuno di noi si riscopre come chiamato al dialogo con Dio, allora tutto ciò che farà, che dirà, che penserà e che tradurrà in azione concreta nascerà dalla consapevolezza di quello che è il fine della vita umana. Desidero tornare alle parole che prendo dalla prima lettura tratta dal profeta Isaia che si sente chiamato ma che vive la consapevolezza – che non dovrebbe perdere di vista nessuno, anche chi vi parla –  che noi siamo realmente creature: più conserviamo questa consapevolezza, più nessuno di noi sarà tentato di pensarsi creatore onnipotente, Dio di se stesso. “Io sono perduto perché sono uomo dalle labbra impure” dice Isaia: non è una commiserazione ma la consapevolezza di ciò che noi siamo. Ma Isaia aggiunge: “Udii la voce del Signore”, la voce che parlava a un uomo dalle labbra impure, che sa di non essere onnipotente. Ecco, l’onnipotenza è il morbo, è la peste che sta attanagliando i nostri cuori, è questa la vera peste generata dall’uomo che si sente – illudendosi – onnipotente ma che resta un uomo dalle labbra impure e che rischia di far precipitare la casa comune in una Babele. Con voi, a bordo di questa nave, io so che queste parole sono di una concretezza unica, perché voi attraversate un mare che è fatto per essere una via di incontro, non per diventare un cimitero di donne, bambini, anziani; e voi, su questa nave, ne avete incontrati quasi sessantamila (questo dicono le statistiche). Come vedete, non stiamo parlando di cose astratte, l’uomo che si reputa onnipotente diventa Caino per il fratello e qui è la chiamata, qui c’è la vostra vita, oggi ognuno di voi viene raggiunto dalla parola di Dio perché è Dio che vuole incontrarvi, vuole incontrare i vostri cuori, i vostri corpi, i vostri sentimenti, la vostra intelligenza, la vostra consapevolezza di essere creatura chiamata a realizzare il progetto di Dio creatore: il pianeta che Dio ha donato a noi deve essere casa fraterna. Ho visto poco fa nella stanza del Vice Comandante una sua foto insieme al Santo Padre, Papa Francesco, colui che in una Lettera ci ha detto “Fratelli tutti”. Voi sapete che il Mediterraneo attualmente è uno scenario di guerra e un cimitero di morte; voi avete incontrato chi muore nel Mediterraneo, avete incrociato sguardi, avete dovuto caricare su questa nave anche cadaveri. Torno allora al Vangelo: “Non temete”, lo avete sentito per tre volte, “non temete”. Noi siamo uomini e donne dalle labbra impure, capaci di trasformare la casa comune in un campo di guerra, capaci di trasformare il mare in una barriera, in un muro che si innalza.  Eppure nel Mediterraneo ci sono uomini e donne che cercano di trovare pienezza di vita perché vittime di cambiamenti climatici indotti soprattutto dalla popolazione che abita nel nord del mondo, che sta distruggendo l’ecosistema; uomini e donne che scappano da guerre – e noi lo sappiamo – che vengono maturate da quanti vogliono il potere, uomini e donne che scappano dalla fame, dalla povertà. La mobilità umana oggi più che mai non è un’emergenza ma è strutturale, così come strutturale fu la mobilità dei nostri nonni e dei nostri genitori che si recarono in America, in Svizzera, in Germania, in Belgio. Capite allora perché qui, a bordo di questa nave, abbiamo un pezzetto del corpo di Santa Rosalia? Attenzione, non siamo idolatri degli uomini, non abbiamo bisogno di amuleti cristiani e questo non è un amuleto propiziatore, semmai questa reliquia ci ricorda cosa è ogni nostro corpo, così come lo fu quello di Rosalia. Questa reliquia ci chiede invece di liberare i nostri corpi, di far deflagrare l’energia di incontro, di vita, di bene, il corpo serve a questo, è tutta la persona. Noi siamo lo spirito incarnato, questo lo stiamo dimenticando, il nostro corpo custodisce l’uomo interiore che è sentimento, passione, intelligenza; se non siamo consapevoli di questo, rischiamo di diventare aridi. Gesù ha una parola tremenda – che io sento molto forte ultimamente – ma che provoca, come sempre: “Per l’avanzare dell’iniquità si raffredderà nei cuori l’amore”. Poniamo attenzione ai nostri corpi, come quello di Rosalia, dimenticata per secoli sul Monte Pellegrino dove un disgraziato sale su perché gli è morta la moglie e si vuole suicidare. E’ Vincenzo il saponaro e Rosalia appare anche a lui così come era apparsa a una donna malata che va a dare pienezza al suo voto per la guarigione, sale sul Monte Pellegrino e anche lì Rosalia si fa vedere e parla: “Vai dall’Arcivescovo Giannettino Doria e digli che io sono qui e che questo mio corpo deve scendere mentre c’è la peste, il mio corpo deve attraversare le strade di Palermo”. I corpi non sono oggetto delle nostre brame, i corpi scrivono storie di relazioni, di verità, di salvezza, di vita, di incontri. Questa è Santa Rosalia, per questo stiamo celebrando il quarto centenario del ritrovamento delle sue spoglie mortali. Santa Rosalia ci aiuterà a far diventare i nostri corpi come il suo, un corpo per altri. Ho portato a voi la lettera che il Papa ha inviato al Vescovo Corrado in occasione di questo quarto centenario: leggetela, è di una grande intensità, le parole di Papa Francesco hanno tanto da dirci. Questa nave che solca il Mediterraneo deve salvare vite, non abbiamo altra legge, questa nave è fatta per dare vita, perché uomini e donne possano ritrovare il sorriso nella loro vita, trovare una sponda per essere liberi. Mi chiedo sempre perché don Corrado, figlio dell’Europa, può spostarsi dove vuole e perché a un figlio del Congo o dell’Africa subsahariana non viene riconosciuto il diritto a muoversi, a spostarsi. Vedete, il Vangelo non è una parallela rispetto alla vita, forse è tempo che ritorniamo a fare sul serio con il Vangelo e la fede cristiana per contribuire a far sui che la Terra sia quel giardino fecondo con al centro l’albero della vita che Dio ha pensato nella prima pagina della Bibbia, non un campo di battaglia e un cimitero».