Discorso alla Città di S.E. Mons. Corrado Lorefice durante la Processione di Santa Rosalia

FESTINO DI S. ROSALIA

Nell’Anno Giubilare del IV Centenario del ritrovamento del suo Corpo

Piazza Marina – 15 luglio 2024

Discorso alla Città

Care Palermitane, Cari Palermitani, Amiche, Amici, Sorelle e Fratelli tutti,

Servitori di tutte le Istituzioni Civili, Militari, Religiose e Culturali convenuti in questa Piazza,

oggi sono particolarmente emozionato e ho il cuore ricolmo di gratitudine nei confronti di S.S. Papa Francesco che si sente spiritualmente unito a noi, alla Chiesa e alla Città di Palermo, nella felice ricorrenza del IV Centenario del ritrovamento del Corpo della nostra Santuzza. Il suo Messaggio è un dono prezioso ed è mio desiderio stasera commentarlo con voi. Leggiamolo e meditiamolo, perché è ricco della paternità e della sapienza evangelica e dell’amore del Santo Padre a Santa Rosalia e alla nostra Palermo.

Nel suo Messaggio il Papa chiama Rosalia “donna e apostola”. Anzitutto donna. È come se Francesco mettesse la nostra Chiesa e la nostra Città davanti a una donna, nelle mani di una donna. Non perdiamo la potenza di questo affidamento, di questo modello. Usciamo insieme stasera dall’idolatria del ‘maschile’, dal vecchio, inutile mito della storia umana fatta dalla durezza, dall’implacabilità, dall’insensibilità, dal cinismo dei ‘maschi’, di quelli che si fanno valere, che non si lasciano impietosire, che non sono ‘femminucce’. Perché quando le cose diventano serie: fine delle smancerie; ci vuole il maschio, la virtù del maschio, dell’uomo forte, che è in fin dei conti la presunta virtù del conflitto, dell’aggressione, della guerra. Questo principio ha attraversato la storia dell’umanità, e trova ancora terreno fertile nel nostro presente, in Italia e anche nella nostra Sicilia. Ahimè, nelle nostre città. Questo principio è – diciamolo con forza – il sottinteso della cultura mafiosa, dove le donne devono essere e comportarsi come maschi per valere, oppure devono restare nell’ombra di fronte agli affari veri e seri, quelli in cui bisogna schiacciare l’altro, prevaricare, farsi spazio, approfittare. Cose da uomini, insomma!

È come se il Papa stasera ci dicesse: “Basta! Basta, Care Palermitane, Cari Palermitani, con questo mito assurdo che rovina la nostra vita e la nostra Città! Basta con l’idolatria del maschile! Quelli che la coltivano, quelli che la pensano come la pensa la mafia, sono l’origine della catastrofe di Palermo!”. Rendiamoci conto che a salvare la nostra vita, a dare senso al nostro convivere, possono essere solo il coraggio, la tenerezza, il dialogo, l’empatia, il servizio, la compassione che risplendono nel Corpo e nell’esistenza di Rosalia e, con lei, di tutte le donne piene di coraggio, vitalità, operosità che ogni giorno ci aiutano a rinnovare positivamente lo stile e le regole della nostra convivenza e della nostra crescita come comunità. Inneggiare alla Santuzza e non considerare, non ascoltare il suo Corpo di donna, significa tradire la sua memoria, ridurla a un passatempo estivo, a sagra, non raccogliere la sua eredità. Dunque: Rosalia donna, dice il Papa, prima di tutto.

E poi apostola. Il Papa pone così la nostra Santuzza sulla scia di Maria Maddalena. A lei e a un manipolo di altre donne il Risorto affida il compito di portare ai fratelli la notizia della sua vittoria sulla morte, di essere apostole della Risurrezione. È questo il compito che il Papa affida alla nostra Chiesa: guardare a Rosalia, essere con Rosalia apostola della fede. È la fede ad attraversare e a superare le difficoltà della vita. Ogni sofferenza – ci ricorda Rosalia – va vissuta con gli occhi della fede. Questa visione di fede le fa abbandonare la ricchezza visibile per scoprire e godere dei beni invisibili, delle segrete soavità che il Signore dona a chi a Lui si affida. Rosalia lo ha fatto: «Amore Domini mei». È stata questa la sua passione per Colui che le appare «cintu di vivu sangu di ducizza» (Petru Fudduni, Poema epico La Rosalia, 1651). E il Papa ce lo ricorda nel suo Messaggio in maniera vibrante, rivolgendosi a tutti noi, Care Amiche, Cari Amici. Che cos’è in fondo la fede? È quella potenza divina, fragilissima e intimamente umana, che ci consente di andare avanti, di guardare oltre, di avere fiducia nelle possibilità della vita anche quando sembrano precluse. È davvero, in questo senso, la passione per i beni invisibili di cui parla Francesco. Perché è come un quotidiano riportarci al cuore della nostra esistenza, lì dove vediamo motivi di vita e orizzonti di senso anche nella notte, anche nella morte. Anche nella peste e nelle tante pesti di cui parla il Papa.

Le pestilenze della storia sono sotto i nostri occhi. Dobbiamo avere il coraggio di dirci stasera che Palermo è ancora appestata. Appestata dalla contro testimonianza di noi, credenti della Chiesa di questa terra, spesso incapaci di seguire le orme del nostro Signore povero e perseguitato per la giustizia; appestata dalla logica del profitto e dalla contiguità con poteri occulti, perniciosi, che ancora percorre tanta della nostra politica; appestata dalla mancanza di futuro che ferisce i giovani, li costringe ad andare lontano o a buttar via la vita nelle dipendenze, nella deflagrazione delle droghe o nel mercimonio di pseudo spiritualità sincretiste sempre più diffuse e pericolose; appestata dalla povertà e dal degrado dei nostri quartieri dove mancano il lavoro, i servizi, ma soprattutto la dignità della vita; appestata dal grido di dolore dei migranti, dei carcerati, degli anziani degli ammalati e delle persone con disabilità, di chi resta ai margini della strada. Sulle nostre strade dove si muore anche perché accidentate e disseminate di trabocchetti. Di fronte alle ‘pesti’ che con nomi diversi ci affliggono, Santa Rosalia è l’apostola che ci mostra la via e ci apre il cammino delle scelte ‘contromano’, del coraggio dell’impossibile, della certezza che ogni momento è quello giusto per ricominciare. La lettera autografa che il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, mi ha voluto affabilmente indirizzare per questa ricorrenza, commenta così il Messaggio del Papa: «Come Sua Santità Francesco ha ricordato, Santa Rosalia […] ha operato una scelta controcorrente. Una scelta – vorrei aggiungere – quasi di scandalo per i criteri della società in cui Santa Rosalia viveva e ancor più per quelli della società di oggi».

Il Papa – Carissime, Carissimi – ci invita poi alla fierezza di sentirci «eredi spirituali» della Santuzza. Lei, nostra maestra spirituale, ci appartiene e a lei noi apparteniamo. E come lei, dobbiamo vivere quella fede che rende bello il volto del nostro territorio. La bella Rosalia vuole che la bellezza sia la qualità di Palermo. La bellezza non è quella che spesso oggi intendiamo. Non è la facciata. Non è il gusto della superficie. Non è il mito dell’eterna giovinezza. La bellezza è qualcosa di intimo, di profondo, che non nasconde ma illumina, che guarisce la vita e non la copre, che dà gioia di esserci e non vergogna. Questa bellezza è corporea e politica. Ed è la bellezza che malgrado tutto sento e sentiamo così presente anche in una Città esaltante e contraddittoria come la nostra. È come se il Papa ci dicesse: “Guarisci dalle tue pesti e risplendi nella tua bellezza, cara Palermo! Non disperdere l’eredità della tua Patrona! Sì, perché bella è la tua cultura, o Palermo, bella la tua terra, bella la tua arte, bella la tua volontà, bella la tua personalità in fondo autenticamente accogliente e solidale, bello il desiderio di tante e tanti di voi – e siete madri e padri di famiglia, volontari, politici, educatori, ragazzi, uomini e donne della Chiesa – [bello il desiderio] di rendere abitabile, di rendere a misura d’uomo la nostra Città. Che la bellezza di Rosalia penetri ogni vicolo, ogni famiglia, ogni comunità, ogni cuore! La bellezza dell’amore per l’altro, la gentilezza nei rapporti umani, il rispetto della giustizia e degli oppressi”. Questo ci chiede il Papa nel nome di Santa Rosalia.

Ma ascoltiamo ancora la sua voce rivolta alla nostra Chiesa: «Con Rosalia, donna di speranza, Vi esorto dunque: Chiesa di Palermo alzati! Sii faro di nuova speranza, sii Comunità viva che rigenerata dal sangue dei Martiri dia testimonianza vera e luminosa di Cristo nostro Salvatore. Popolo di Dio in questo lembo di terra benedetto, non perdere la speranza e non cedere allo sconforto. Riscopri la gioia dello stupore di fronte alla carezza di un Padre che ti chiama a sé e ti conduce sulle strade della vita per assaporare i frutti della concordia e della pace».

Secondo Francesco, Rosalia è dunque anche pellegrina e apostola della speranza. Care Amiche, Cari Amici, dobbiamo dircelo: la disperazione è sempre in agguato nelle vicende della vita. Essa è la nostra «grande tentazione» (Charles Peguy). Potremmo affermare che una delle domande costitutive della condizione umana sia proprio questa: “Che cosa posso sperare?”. Riconosciamo insieme che la strada che porta a Emmaus, la strada verso casa di quei due discepoli disillusi, la sera di Pasqua, [ecco, questa strada] è sempre affollata: là si danno – ci diamo – appuntamento i disillusi, gli stanchi, i disperati: «Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele!» (Lc 24,21). Il vertice della delusione è proprio quello di chi ha sperato in Qualcuno che sembrava diverso, che predicava una speranza nuova ma – anche lui! – è stato vinto dalla morte. Di tanti piccoli e grandi “speravamo…”, si riempie la nostra esistenza. Un filosofo ha scritto che «la mancanza di speranza è la cosa più insopportabile per gli umani» (Ernst Bloch). Perché non è vero che finché c’è vita c’è speranza. È vero piuttosto il contrario: finché c’è speranza c’è vita. Un grande scrittore siciliano ha detto che «finché c’è morte c’è speranza» (Tomasi di Lampedusa). Ma io qui, stasera, commentando con voi le parole del Papa, vi esorto a sperare contro ogni speranza, ad ascoltare la parola di Paolo ai Colossesi (1,23): «Non lasciatevi strappare la speranza!». È vero che certe sofferenze sono così forti, assurde, ostinate, che ci verrebbe di rifugiarci in quel pessimismo che spesso è connaturato all’umano – ma che nel nostro caso eredita anche un’ormai insostenibile consuetudine tutta siciliana –, eppure la Rosalia di cui ci parla il Papa ci ridona, lei, apostola della speranza, la fede e l’amore per rialzarci e riprendere a sperare. La Santuzza viene con le sue braccia aperte a ridarci la speranza. «Le vere stelle della nostra vita sono le persone che hanno saputo vivere rettamente. Esse sono luci di speranza», ci ricordano le magistrali parole di Benedetto XVI sulla speranza che ci salva (Spe salvi, 49). Una speranza – lo ripeto ancora – ‘contromano’, controcorrente, forse perché sempre la speranza è controcorrente. Come non ricordare, stasera, un profeta “di speranza e carità”, come Fratel Biagio Conte?

Il 16 febbraio scorso, l’ispezione, da me disposta e presieduta, delle Reliquie della Santuzza contenute in questa Urna argentea – dove, a nome della nostra Chiesa e dell’intera Città, di ciascuna e di ciascuno di voi, prima di sigillarla nuovamente, ho deposto una rosa e un giglio in argento –, mi ha fatto trasalire il cuore e immedesimare nei sentimenti di chi 400 anni fa si trovò dinnanzi a quel Corpo santo. Ricordare il ritrovamento del suo Corpo diventa per noi un invito a ritrovare la speranza, [a ritrovare] la gioia di esistere che malgrado tutto abita i nostri corpi, anche al di là di noi, e ci spinge, ci sostiene, ci apre alla vita. La notte non è l’ultima parola. Chiediamo a Dio, leviamo la nostra voce accanto alla sentinella di Isaia: «Sentinella, quanto resta della notte?» (Is 21,11), e con lei crediamo che l’alba sta venendo e che il buio dell’esistenza e della storia non è l’ultima parola, per il nostro mondo, per la nostra Italia, per la nostra Palermo! Grazie, Papa Francesco! Ti sentiamo vicino, sentiamo la tua benedizione e preghiamo per te.

Vorrei concludere, Care Palermitane e Cari Palermitani, con una parola sulla nostra processione di quest’anno. Mi piace sottolineare come quest’anno Palermo riceva in regalo, per l’anniversario dei 400 anni dal ritrovamento del Corpo della sua Patrona Santa Rosalia, una [questa] nuova statua in vetroresina della Santuzza. È opera del giovane artista palermitano Filippo Sapienza, che ha saputo far dialogare in questa immagine il vecchio e il nuovo. Sì, perché le sante del passato, a partire dalla tradizionale statua di Rosalia realizzata da Gregorio Tedeschi nel 1625, posta sotto all’altare a lei dedicato nel Santuario di Montepellegrino, erano fatte per attirare gli sguardi, per chiamare gli altri all’ammirazione, ammantate d’oro, in un’ostensione che esigeva venerazione ed esprimeva una santità superiore e forse irraggiungibile. Ma qui, nella Santa Rosalia di quest’anno, collocata prima in Cattedrale, e ieri a Porta Felice perché ciascuno vi si potesse rispecchiare e vedersela accanto, leggiamo un gesto nuovo, moderno e avvolgente: è la Santa che si muove verso di noi, verso i suoi concittadini, verso il popolo di Dio. Non passa ieratica e distante sopra il fercolo che la trasporta. È come un’incarnazione del messaggio del Santo Padre: Rosalia apostola e pellegrina, che va verso di noi, Sorelle e Fratelli, a portare il suo annuncio di speranza. Sono spariti i tratti del simulacro che attraggono gli sguardi e li trattengono su una perfezione estetica proposta a modello, mentre vengono amplificati i segni di apertura: il grembo che accoglie, le braccia e le mani che si aprono per abbracciare, il passo che vuole incontrare, la presenza che per prima si avvicina al fedele, sentito come un fratello e non come un suddito. Come rileva una critica d’arte (Chiara Gatti) l’unico particolare iconografico che riconnette questa statua al passato è il serto di roselline dorate, dorate come il cingolo della cintura che ricorda la santità di una vita povera da eremita. È il movimento a emergere, impresso in quel passo che avanza, che si apre all’altro, all’invocazione e all’amicizia di chiunque in questa immagine cerchi la sua Rosalia, quella di ogni giorno dell’anno, in cui viene ugualmente pregata e invocata perché interceda nelle nostre fatiche. L’opera dell’artista incarna il Messaggio del Santo Padre. Si tratta di un regalo profondamente innestato nella complessa, spesso dolorosa sublimità di Palermo. È vero – come è stato scritto – che a Palermo «la lotta fra bene e male, vita e morte, disastro e rinascita è destinata a non esaurirsi mai» (Roberto Alajmo), ma è anche vero che qui, a Palermo, alla nostra Palermo, è stata donata Rosalia a rinnovare continuamente in ogni cuore e nella “res publica” la certezza della speranza.

Andando dietro a Rosalia, procediamo idealmente accanto alla madre di Gesù e dietro a Colui che è l’autore e il perfezionatore della nostra fede (cfr Eb 12,2). Alla santa Madre di Dio e nostra, “stella di speranza” (Benedetto XVI, Spe salvi, 49), alla “Santuzza”, alle altre Sante Patrone di Palermo, a San Benedetto il Moro, al Beato Pino Puglisi, affidiamo la nostra Città, il travaglio di ogni donna e uomo di buona volontà di rigenerarla nella giustizia, nella compassione, nella bellezza.

Lavora con noi, percorre le nostre strade lei, ‘a Santuzza’, Donna e Apostola della speranza che genera ed è rigenerata dalla fede e dall’amore. Con Rosalia in cammino verso una Palermo trasfigurata, una Chiesa sempre più rinnovata.

Buon Festino a tutti! Buon proseguimento dell’Anno Giubilare Rosaliano!